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Novità e giurisprudenza

In una causa patrocinata dallo Studio Legale Panici e Associati, la Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza emessa in data 29.05.2024, ha affermato che il tenore letterale dell'art. 46 d.l. 18/2020 è "assolutamente univoco" laddove richiama il «giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604».


Tuttavia, «mentre per i dipendenti non dirigenti la tutela è “globale”, in quanto il divieto investe sia i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, sia quelli collettivi, per i dipendenti dirigenti la tutela è soltanto parziale, in quanto il divieto investe solo i licenziamenti collettivi»; tale evidente asimmetria, che presenta evidenti profili di irragionevolezza, ha portato la Corte a ritenere che la norma violi l'art. 3 della Costituzione.


E' stata pertanto dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione della legittimità costituzionale dell'art. 46 nella parte in cui non prevede il divieto di licenziamento del dirigente per ragioni oggettive; sarà quindi la Corte Costituzionale a scrivere l'ultimo capitolo di una vicenda che ha appassionato tanti addetti ai lavori.


In allegato il provvedimento



Ecco una prima sentenza di Corte di Appello -


ottenuta dallo Studio Legale Panici e Associati- che applica uno dei principi della Corte Costituzionale 22/2024: come paventato da alcuni "i vizi riconducibili alla procedura di cui all'art. 7 statuto dei lavoratori" escludono la reintegrazione; e ciò "nel regime di tutela sia della legge 92/2012 sia del d. Lgs. 23/2015".


La Corte Costituzionale non è andata per il sottile distinguendo - come era doveroso - tra vizi "procedurali" e vizi "sostanziali": una cosa è infatti la modalità di applicazione del principio di cui all'art. 7, altra cosa il suo contenuto essenziale - sostanziale, ovvero l'esercizio del diritto di difesa in applicazione del principio millenario "audietur et altera pars".


E ovviamente la Corte di Appello di Roma si è adeguata ritenendo la ingiustificatezza - con la relativa tutela - del licenziamento del dirigente che non era stato sentito a voce in sua difesa e non la nullità come richiesta in via principale; e, lo stesso principio, vale ovviamente per tutti gli altri lavoratori subordinati.


Ma la questione resta aperta e vedremo cosa dirà la Cassazione.


Ed infatti:


a) l'art. 7 prevede che" il datore non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa": dunque un'atto vietato e la conseguente nullità - inidoneità ad estinguere il rapporto, come conseguenza del suo esercizio;


b) gli art. 4 D. Lgs. 23/2015 ed il sesto comma dell'art. 18 L. 300/70 escludono la reintegrazione per "violazione... della procedura di cui all'art.7 L. 300/70...": dunque un vizio procedurale e non sostanziale.


Con la pronuncia che trovate in allegato (ottenuta dal nostro Studio Legale) la Suprema Corte ha ribadito l'obbligo, gravante sul datore di lavoro, di indicare nella comunicazione di avvio della procedura di cui all'art. 1 l. 223/1991, le ragioni della mancata adozioni della rotazione -e dei criteri di scelta- dei lavoratori da collocare in CIGS a zero ore.

Tale obbligo sussiste anche qualora l'unità produttiva venga chiusa.




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